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 "Aspetti psicologici della coppia e del bambino nella pma" di Piergiuseppina Fagandini, Alessia Nicoli, Marcello Paterlini, Maria Teresa Villani, Giovanni Battista La Sala

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MessaggioTitolo: "Aspetti psicologici della coppia e del bambino nella pma" di Piergiuseppina Fagandini, Alessia Nicoli, Marcello Paterlini, Maria Teresa Villani, Giovanni Battista La Sala   "Aspetti psicologici della coppia e del bambino nella pma" di Piergiuseppina Fagandini, Alessia Nicoli, Marcello Paterlini, Maria Teresa Villani, Giovanni Battista La Sala EmptyVen 15 Giu 2012, 23:24

Tratto dagli atti del convengo "Gravidanza e bambini dopo procreazione medicalmente assistita", coordinato da Guido Ragni, Gruppo Edititoriale EDITEAM s.a.s, tenutosi a Milano nel marzo 2011.


ASPETTI PSICOLOGICI DELLA COPPIA E DEL BAMBINO NELLA PMA


Centro per la Diagnosi e la Terapia della Sterilità di Coppia “Patrizia Bertocchi” S.C. di Ostetricia e Ginecologia Arcipedale S. Maria Nuova Reggio Emilia


Il bambino nasce dentro di noi molto prima del concepimento.
Ci sono gravidanze che durano anni di speranza, eternità di disperazione
Marina Ivanovna Cvetaeva

Il Centro di Sterilità di Reggio Emilia è tra i Centri Pubblici più grandi in Italia.
E’ riconosciuto dalla Regione Emilia Romagna come Centro di III livello.
Esegue la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) anche in coppie affette da malattie a trasmissione sessuale. Esegue la preservazione della fertilità nei pazienti oncologici.
La PMA è un esempio, tra molti altri, della complessità del generare oggi.
I problemi biotici, a cui ci troviamo di fronte oggi nel nostro lavoro quotidiano di operatori della medicina della riproduzione e perinatale, non si prestano a soluzioni univoche o dogmatiche. Esistono zone “grigie” che non devono rimanere zone “d’ombra”, ma occorre il coraggio di esplorarle, senza cercare subito soluzioni o certezze, ascoltando i protagonisti, i pazienti, le coppie, i genitori, sapendo aspettare, imparando a lasciare in sospeso …
Questo atteggiamento, nella relazione operatore sanitario – paziente non significa relativismo etico, anzi significa rigore, senso profondo di responsabilità rispetto e ricerca del limite, del confine.
Una cultura del limite che si ponga continuamente domande non solo sui risultati delle tecniche scientifiche o dei fenomeni sociali, ma sui loro significati umani.
E’ una complessità che unisce gioia e sofferenza, vita e malattia, speranza e disperazione e, soprattutto, fa emergere in donne e uomini, nelle coppie, negli operatori di cura, risorse umane eccezionali, intelligenze e sentimenti che vanno riscoperte come valore scientifico e sociale.
L’esperienza di sentimenti “perturbanti”, che sempre più caratterizza il momento storico attuale della medicina della riproduzione, non va né sottovalutata né sopravvalutata, ma resa pensabile, cercando strumenti di riflessione, evitando che la “realtà sovrasti la mente e la renda muta” (1).
Nel percorso PMA occorre un lavoro integrato interdisciplinare che si prenda cura dei partners della coppia nella loro interezza, come corpi, menti ed emozionalità. E’ necessario, all’interno della tecnologia e delle procedure biomediche più avanzate, che si creino spazi fisici, temporali e mentali in cui sia possibile aiutare la coppia a mantenere il contatto con il proprio mondo interno, perché possano attingere alle proprie risorse emotive, essere protagonisti e responsabili, perché sia agevolato il passaggio dalla “fecondazione” alla “procreazione”.
Accanto ai medici, ai biologi, agli infermieri, occorre che gli psicologi siano integrati nell’èquipe multidisciplinare. Il compito degli psicologi è tutelare il benessere emotivo delle coppie durante le varie fasi del percorso; quest’obiettivo si raggiunge non solo attraverso interventi mirati ai pazienti, ma soprattutto attraverso la riflessione sugli aspetti affettivi dell’organizzazione, i vissuti emotivi dei diversi ruoli professionali, le modalità comunicative tra gli operatori sanitari e le coppie. Gli spazi, i tempi, i modi della comunicazione nel percorso PMA, “colorano” e “segnano” spesso inconsapevolmente, i significati emotivi e simbolici profondi dell’esperienza di infertilità e di procreazione delle coppie e i vissuti e le identità professionali degli operatori sanitari. Attualmente possiamo affermare che solo un modello complesso bio-psico-sociale e multifocale (2) può permettere di avere un approccio “proficuo” nella relazione terapeutica con la coppia infertile.
La ricerca ricopre una funzione fondamentale nell’attività del Centro di Reggio Emilia. La ricerca viene svolta in ogni ambito professionale, medico, biologico e psicologico, ed è finalizzata non solo alla pubblicazione degli studi ma soprattutto all’approfondimento ed arricchimento dell’attività clinica, alla formazione ed all’integrazione delle diverse professionalità che formano l’èquipe.
La ricerca psicologica ci ha permesso di entrate in contatto con le esperienze emotive delle coppie che affrontano il percorso PMA e anche dei genitori che hanno concepito attraverso le tecniche PMA. Conoscere le “rappresentazioni genitoriali” e il vissuto depressivo e ansioso dei genitori che concepiscono con la PMA ci ha allontanato dal pregiudizio della presunta “onnipotenza” che spesso viene attribuita alle coppie che intraprendono questo complesso e doloroso percorso. I risultati delle interviste e i colloqui con i genitori PMA ci hanno fatto conoscere come la sofferenza per la ferita narcisistica della sterilità e la successiva esperienza faticosa e traumatica della PMA possano costituire un percorso fisico e psichico più complesso, ma anche più profondo della costruzione della genitorialità. Questa riflessione clinica è importante in ogni fase del percorso PMA, sicuramente nel fallimento delle tecniche, quando la speranza viene amaramente delusa, ma anche in caso di successo, quando la gravidanza inizia e il “sogno” si realizza.

RICERCHE SULLA GRAVIDANZA – GENITORIALITA’ E SVILUPPO DEI BAMBINI CONCEPITI CON PMA

Il Centro pubblico per la Diagnosi e la Terapia di Sterilità di Coppia “Patrizia Bertocchi” dell’Arcipedale S. Maria Nuova, è nata nel 1989. L’attività è in forte e costante aumento. Confrontando, ad esempio, i due periodi tra il 1999-2003 e il 2004-2009 l’aumento dei cicli di PMA è del 62%. Il numero totale dei cicli nel periodo 1999-2009 è di 11.300 cicli.
La provenienza delle coppie (dati 2010) è per il 29% proveniente dalla città e provincia di Reggio Emilia, per il 32% da altre province della Regione Emilia Romagna, per il 39% da altre regioni d’Italia. I bimbi finora nati da gravidanze PMA presso il Centro sono oltre 2100.
Il Centro di Reggio Emilia, anche prima dell’entrata in vigore della legge 40/2004, non ha praticato il congelamento embrionario, né la fecondazione eterologa. Le ricerche psicologiche sulla gravidanza e i bambini, che qui prendiamo in considerazione, riguardano quindi concepimenti con tecniche PMA all’interno della coppia genitoriale.
Abbiamo iniziato il nostro lavoro di riflessione psicologica nel 1998 “dal bambino in braccio”, con il follow-up dei bambini concepiti con PMA fino all’età di 5 anni, poi, attraverso un percorso apparentemente “a ritroso”, con altre ricerche, abbiamo approfondito i primi due anni di vita dei bambini, il parto, la gravidanza fino a ritornare al concepimento occupandoci, in questo settore delle ricerche, delle coppie che “riescono” a diventare genitori. Siamo passati dal “risultato” PMA, cioè il bambino in braccio, alle relazioni tra i genitori ed il bambino, infine alle fantasie e al desiderio che precedono il bambino e accompagnano la sua crescita nei primi mesi di vita.
La prima ricerca (1998) ha analizzato lo sviluppo psico-fisico dei bambini concepiti con PMA nei loro primi cinque anni di vita (3-4) a confronto con un gruppo di controllo di bambini della stessa età concepiti naturalmente. La ricerca del 1998 ha confermato anche nel nostro campione quando già descritto in letteratura (Braverman ed al., 1998, Cook ed al., 1997, Golombak ed al., 1998) sui figli concepiti attraverso PMA; lo sviluppo dei bambini è globalmente nella norma esiste generalmente una buona attitudine dei genitori allo svolgimento del loro ruolo. Parallelamente però, gran parte delle ricerche internazionali rilevano che l’elaborazione del percorso genitoriale, attraverso l’esperienza della infertilità e del percorso PMA, appare più complessa e delicata, sia individualmente per i padri e le madri, che per la coppia (Colpin, et aL, 1998, Cook et aL, 1998, Gibson et aL, 1996). I bambini concepiti con PMA non sono quindi“bambini speciali”, ma, nonostante questa realtà rassicurante, i loro genitori si sentono “genitori speciali”.
La nostra ricerca utilizza un questionario rivolto espressamente ad ambedue i genitori per analizzare i vissuti materni e paterni. La diversità si evidenzia innanzitutto tra l'essere padre e l'essere madre, prima che tra l'essere genitore PMA o genitore “naturale”. Ma vi è una domanda che differenzia fortemente i due gruppi genitoriali (PMA/non PMA): “Ha parlato a suo figlio della sua nascita?”. Questa domanda segna lo spartiacque tra i due gruppi di genitori. Hanno risposto NO il 78 % delle mamme PMA versus il 38% delle mamme controllo; hanno risposto NO l'83% dei papà PMA versus il 64% dei papà controllo. Dalla domanda successiva “In che modo ?” abbiamo verificato che, nel 92%, i genitori PMA hanno inteso lo parola “nascita” come “concepimento”, mentre lo totalità dei genitori del gruppo controllo hanno inteso “nascita” come “gravidanza e parto”. L'elaborazione individuale e nella coppia del concepimento attraverso le tecniche PMA rappresenta un problema, anche a distanza di 5 anni, al punto che il pensare al concepimento PMA pare impedire ai genitori di parlare ai bambini della loro reale attesa, gravidanza e nascita.
Questa diversa interpretazione della domanda e la diversa catena associativa ci ha introdotto al tema del segreto, del non detto, del lutto, ancora presente, dell'infertilità.
Sembra che l'esperienza affettiva di questi genitori, in un contesto sociale che non riconosce la loro sofferenza e spesso “li accusa di volere un figlio ad ogni costo”, sia ancora così “nuova”, dal punto di vista della cultura della famiglia, che mancano le parole per definirla ed è difficile per i genitori stessi riconoscersi nelle categorie emotive “tradizionali”. Ma la sofferenza emotiva non è psicopatologia. Il dolore mentale si può trasformare in psicopatologia solo se non viene accolto, contenuto, condiviso. Questa riflessione clinica è importante in ogni fase del percorso PMA, sicuramente nel fallimento, ma anche nel successo.
Si apre quindi un altro importante spazio di counselling che sostenga la coppia infertile anche nel caso che raggiungano il sogno della gravidanza e dell'avere “il bambino in braccio”.

BAMBINI CONCEPITI CON ICSI E I LORO GENITORI

La ricerca del 2003 (5) rappresenta una delle prime indagini svolte in Italia sulle caratteristiche della relazione genitori-figli in famiglie che hanno concepito la prole con l'assistenza di tecniche mediche per la terapia della sterilità anche maschile (Intracytoplasmic Sperm Inyection – ICSI).
In particolare per l'ICSI esistono pochi studi prolungati nel tempo che illustrino in modo attendibile come si svolge lo sviluppo psico-affettivo dei bambini concepiti con questa tecnica per la sterilità maschile. Il lavoro di Bowen (1999) suggerisce la possibilità di lievi ritardi di sviluppo psicomotorio per questi bambini a 1 anno d'età.
La nostra ricerca ripropone lo stesso test di livello (BayleyScales of Infant Development, 1993), ma completa l'indagine con l'osservazione della relazione genitori-bambini attraverso il Care Index (Crittenden,2003) per individuare gli indici di stile del contesto relazionale intrafamiliare e con il colloquio clinico e questionari autosomministrati per la madre e il padre per l'approfondimento dei vissuti genitoriali. Inoltre i test vengono effettuati a 1 e a 2 anni d'età.
Dai risultati del lavoro a un anno non emergono differenze nello sviluppo cognitivo dei bambini ICSI rispetto al gruppo di controllo, ma emergono differenze nello sviluppo comportamentale. L'unica differenza riscontrata a 1 anno sembra riguardare la relazione genitori-bambini e non tanto le caratteristiche dei bambini stessi. Per verificare questa ipotesi, abbiamo analizzato i risultati del Care-Index che segnalano differenze significative tra i genitori del gruppo sperimentale e i genitori del gruppo di controllo. I genitori “ICSI” appaiono più controllanti ed “intrusivi” nella relazione genitori-figli rispetto ai genitori del gruppo di controllo. Queste modalità relazionali si riflettono sullo sviluppo comportamentale dei bambini ma, pare, con una funzione protettiva rispetto alle ansie e ai vissuti dolorosi dei genitori.
I genitori nel primo anno di vita dei figli mantengono un maggior “controllo” emotivo che sembra proteggere il bambino dalle proiezioni angosciose genitoriali e permettere un suo sviluppo adeguato sul versante mentale e motorio anche se incide sul suo sviluppo comportamentale. La nascita del bambino reale sembra non poter “riparare” completamente la ferita narcisistica dell'infertilità.
A due anni non si rilevano differenze in nessun ambito. Come le differenze significative del test Bayley sullo sviluppo comportamentale dei bambini scompaiono a due anni, così anche le differenze nella relazione genitori-bambini al Care-Index scompaiono a due anni. Nel secondo anno di vita, lo sviluppo “sano” del bambino sembra favorire un comportamento più sensibile dei genitori e quindi una migliore interazione genitori-figli e un miglior sviluppo del bambino. Nonostante il lutto personale della infertilità, i genitori ICSI attivano risorse personali e di coppia e i loro figli, i bambini reali, entrano in sintonia con le difese e le risorse dei genitori e le utilizzano per crescere “normalmente”. La maggior complessità delle emozioni dei genitori PMA, soprattutto dei padri, (l'ICSI riguarda proprio la sterilità maschile), sembra portarli ad una maggiore profondità e consapevolezza della relazione genitoriale. I genitori ICSI della nostra ricerca hanno saputo differenziare tra lo dimensione individuale adulta, lo dimensione di coppia e lo dimensione genitoriale. La ferita della infertilità è personale e/o di coppia, ma il bambino reale e le funzioni genitoriali possono non essere coinvolti in questa dimensione.

RAPPRESENTAZIONI MATERNE E PATERNE NELLA PMA

Le dimensioni riproduttive allacciano una generazione all'altro e permettono il costituirsi di catene genitoriali e filiali inserite nel tempo e nello storia.
Nel periodo perinatale, le rappresentazioni mentali sulla maternità e paternità e sul bambino sono fortemente attivate e includono le memorie materne e paterne delle proprie relazioni precoci, le fantasie, speranze, paure sul bambino/a. L'esperienza clinica e di ricerca psicologica con le coppie PMA rivela la scarsa presenza di fantasie e di sogni. Il paradosso del concepimento infertile può raggelare lo scenario delle rappresentazioni e delle relazioni famigliari e sociali.
In ogni cultura, la capacità generativa è trasmessa di madre in figlia, ma questo processo è duramente ostacolato dall'infertilità che riflette, nel confronto con la propria madre, un'immagine di incapacità. La gravidanza da PMA può essere vissuta dalla donna come un'esperienza che appartiene a lei soltanto, caratterizzata da un alto grado di differenziazione dalla propria madre, interrompendo quindi la trasmissione psicologica transgenerazionale.
Allo stesso modo per i padri le “rappresentazioni” di sé come genitore sono più fragili e incerte nei padri PMA che nei padri non PMA; anche dopo aver ottenuto la gravidanza, anche dopo lo nascita del figlio, i padri PMA appaiono ancora molto coinvolti dalla complessità del percorso medico affrontato e dalla sofferenza per la ferita narcisistica dell'infertilità, che sembra non potersi
rimarginare (soprattutto se l'infertilità è maschile).
La ricerca del 2006 (6) si è sviluppata con l'obiettivo di esplorare alcuni aspetti psicologici che maggiormente caratterizzano il passaggio alla genitorialità nel confronto tra PMA e procreazione “naturale”. Si è fatto riferimento all'eventuale presenza di segni psicopatologici e alle caratteristiche
qualitative delle rappresentazioni materne e paterne, relative al bambino, a sé, al partner, ai propri genitori, che si sviluppano nel corso dello gravidanza.
A tale scopo è stato ideato un piano di ricerca longitudinale, che ha seguito le coppie genitoriali PMA dal 7°-8° mese di gravidanza fino al 3°mese dopo il parto. Gli psicologi, coinvolti nella ricerca, hanno incontrato le coppie e somministrato alcuni strumenti: l'Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS) di Cox et al. (1987), questionario di autovalutazione ampiamente utilizzato a livello internazionale, creato appositamente quale strumento di “screening” per individuare lo sintomatologia della depressione pre-postnatale, l'ASQ-Ipat Anxiety Scale di Krug, et al. (1976), strumento costruito per ottenere, in maniera rapida, oggettiva e standardizzata, una informazione clinica sul livello generale di ansietà, e su ansietà latente e ansietà manifesta e l'intervista sulle rappresentazioni materne in gravidanza e a tre mesi dal parto (IRMAG,IRMAN Ammaniti et al. 1995) e quella sulle rappresentazioni paterne in gravidanza e a tre mesi dalla nascita (Ra.Pa.G., RAPAN Giannone et al., 2002).

Risultati: Rispetto a segnali di rischio psicopatologico, il numero di genitori con sintomi di depressione è molto maggiore nel gruppo PMA soprattutto prima della nascita (29,20% di depressione nelle coppie PMA in gravidanza versus il 5,70% nelle coppie non PMA). La sintomatologia depressiva in gravidanza può essere legata, nel gruppo PMA, ad un'amplificazione delle angosce genetiche che, nelle situazioni di infertilità, rischiano di ostacolare il lavoro della maternità e paternità psichica. Dopo il parto i due campioni si avvicinano (20% per le coppie PMA versus il 17,10% nelle coppie non PMA) rispetto alla presenza di segnali depressivi che, nel gruppo di controllo, sono collegabili al maternity blues. È importante rilevare che sono inclusi anche i padri nel gruppo di genitori depressi PMA, mentre nel gruppo di controllo non risultano padri depressi (7).
Per quanto riguarda l'ansia manifesta, il gruppo PMA mostra un punteggio molto più alto rispetto al gruppo di controllo. Sia le madri PMA che i padri PMA, riportano un punteggio più alto rispetto alle madri e ai padri del gruppo di controllo. Tale aspetto è osservabile alla 30-32 esima settimana e si mantiene anche dopo lo nascita del bambino. Nel gruppo PMA l'ansia manifesta tende quindi ad essere più intensa ed è ipotizzabile che come le angosce genetiche sono più pervasive così le ansie di ruolo incidono maggiormente su rappresentazioni di sé come genitori dipendenti dalla tecnica e del neonato come prezioso e vulnerabile.
Ma il figlio "unifica": la maggior parte delle rappresentazioni del bambino sono simili in entrambi i tipi di coppie. Le somiglianze così numerose verificate nelle rappresentazioni genitoriali dei gruppi PMA e controllo ci fanno comprendere quanto ci sia di “comune" e di “inevitabile” nell'esperienza di diventare genitori al di là delle modalità del concepimento. Per ambedue i gruppi il bambino è l'oggetto di amore, di investimento libidico, che viene naturalmente idealizzato in quanto rappresenta la meta del proprio desiderio e del bisogno di essere confermati rispetto all'integrità e capacità del mondo interno ed esterno: essere genitori e fare il bambino.
Le differenze dei vissuti e i diversi meccanismi difensivi, che accompagnano l'attesa e l'esperienza genitoriale dei genitori PMA, se vengono messi in relazione con i risultati della ricerca del 2003 sullo sviluppo dei bambini e la relazione genitori-figli, sembrano svolgere una positiva funzione di “protezione” della crescita del bambino fin dalla gravidanza e nei primi tre mesi di vita.
Tenere a mente questo significa interrogarsi maggiormente sui percorsi clinici, per offrire soluzioni più efficaci, arginare maggiormente la sofferenza psicologica e soprattutto permettere alle coppie di “riprendersi” internamente responsabilità e attiva partecipazione al processo generativo, “de medicalizzando" il più possibile la gravidanza e il parto.

''VANISHING TWIN SYNDROME": UNO STUDIO PILOTA

Infine riportiamo un esempio di ricerca che approfondisce gli aspetti più inconsci dell'esperienza di genitorialità nella PMA: “La sindrome del gemello scomparso”(8 ). Con "Vanishing Twin Sindrome. (V.T.S.) si identifica la particolare situazione in cui una gravidanza inizialmente riconosciuta come gemellare (o comunque multipla) dà come esito finale un parto singolo (o comunque di ordine
inferiore alla stima iniziale). In particolare, lo scomparso deve avvenire tra il momento iniziale della gravidanza e la dodicesima settimana della stessa. Nonostante questa sindrome non sia da escludere nei casi di gravidanze naturali, il maggior controllo ecografico applicato alle gravidanze ottenute con PMA rende queste ultime casi di elezione per lo studio di tale sindrome, con un'incidenza rilevata di 1 caso ogni 10 gravidanze artificialmente indotte (Pinborg et al.,2005).
L'origine di questa "sparizione" embrionale rimane ancora oggi materia di intenso dibattito. Vi è anche incertezza riguardo alla maggiore incidenza di sequele neurologiche (in particolare di Paralisi Cerebrale Infantile) nei bambini sopravvissuti ad una gravidanza con un gemello scomparso, rispetto ai bambini nati singoli o nati da gravidanze gemellari. Alcuni studi (Pinborg et al.,2005) dichiarano una incidenza maggiore di sequele nella V.T.S., anche se studi italiani (9) rilevano al contrario una similarità di esiti riguardo la durata gestazionale, il peso alla nascita, le complicazioni perinatali, tra gravidanze con gemello scomparso e gravidanza singola. Precedenti ricerche su bambini nati tramite PMA (5) hanno sottolineato il ruolo che i disturbi relazionali genitore-bambino possono avere, entro i primi due anni di vita, nell'inibire lo sviluppo psicomotorio e lo sviluppo dell'autonomia infantile, processi che tuttavia tendono a normalizzarsi negli anni successivi. Tenendo conto di questi dati, la ricerca sul "gemello scomparso" si è posta l'obiettivo di studiare con maggiore attenzione gli aspetti psicologici della V.T.S., l'intento principale è di approfondire gli aspetti psicologici legati alle percezioni materne e paterne nei riguardi del figlio “sopravvissuto” e
di esplorare l'eventuale presenza di alterazioni comportamentali nel bambino.
Sulla base del database dei 67 casi di V.T.S.dal 1994 al 2004 individuati nei pazienti del Centro di Diagnosi e Terapia della Sterilità del!'Arcispedale S.Maria Nuova di Reggio Emilia,è stato effettuato il follow-up delle sequele neurologiche maggiori e minori nel campione considerato. Inoltre, attraverso interviste telefoniche alle famiglie si è somministrato un questionario socio-anamnestico-relazionale appositamente preparato e la scala motoria del QUIT (Questionario Italiano sul Temperamento; Axia, 2002; tale scala, somministrata ai genitori, fornisce informazioni sulla presenza di eventuali alterazioni comportamentali nel bambino ed il vissuto genitoriale in merito) e alla Vulnerable Child Scale (Perrin,West, e Culley, 1989; uno strumento di 8 item utile all'identificazione dei bambini percepiti come vulnerabili dai propri genitori). Le due principali variabili che contribuiscono alla percezione di vulnerabilità sono l'effettiva vulnerabilità di un bambino determinata da una malattia e il sentimento di timore-angoscia di un genitore che il proprio bambino possa essere stato a rischio. La prima variabile potrebbe rendere un bambino determinata da una malattia e il sentimento di timore-angoscia di un genitore che il proprio bambino possa essere stato a rischio. La prima variabile potrebbe rendere un bambino effettivamente vulnerabile, ma le ansie del genitore tendono a risolversi una volta che il bambino guarisce. La seconda variabile introduce il concetto che la vulnerabilità percepita è un processo duraturo e continuo, che porta i genitori a una visione del bambino come differente e ciò può provocare una continua risposta anormale del genitore. Tale convinzione può potenzialmente avere effetti avversi sullo sviluppo del bambino (Brian, Forsyth, Horwotz, Leventhal, Burger, 1996).
Risultati: la ricerca ha confermato la presenza di patologie e malformazioni nei gemelli sopravvissuti, come nella letteratura internazionale (Paralisi Cerebrale Infantile: 1,9% - 1,1%); Sequele Neurologiche: 3,8% - 1,6%; Disturbi nello Sviluppo neurologico: 5,7% - 8%).
Considerando solo i bambini non affetti da patologie, il dato interessante è la maggiore incidenza di problemi di sviluppo comportamentale nei bambini da 7 a 11 anni (il gruppo di maggiore età nel campione considerato). E' stata inoltre osservata nel bambini del campione “sano” un'associazione tra gli scarsi punteggi ottenuti al QUIT e le difficoltà scolastiche e di separazione dai genitori.
I bambini del gruppo VTS hanno maggiori difficoltà nell'inserimento scolastico dal nido alle elementari (rispetto ai dati normativi) e presentano maggiori problematiche legate ad ansia di separazione (sia al nido che alla scuola materna) e a problemi di adattamento sociale.
I bambini del gruppo sperimentale presentano nel profilo psicomotorio maggiori difficoltà (comportamento significativamente più “inibito”) rispetto al campione normativo; le differenze del gruppo sperimentale sono statisticamente significative nella fascia 7 - 11 anni.
Nonostante tutto questo, i bambini del gruppo sperimentale sono percepiti dai propri genitori come meno vulnerabili di quelli del gruppo di controllo (bambini concepiti con PMA ma non V.T.S.). Le precedenti ricerche su bambini concepiti tramite ICSI non V.T.S. (5) hanno riscontrato che i disturbi dello sviluppo infantile e delle relazioni genitori - bambino presenti nel primo anno di vita tendono a normalizzarsi nel secondo anno di vita del bambino. Nei bambini concepiti con PMA e V.T.S., sopravvissuti ad un gemello scomparso, tali disturbi sono invece significativi ancora nella fascia di età 7 - 11 anni e accompagnati da difficoltà di inserimento scolastico e di distacco dai genitori; si può quindi ipotizzare in queste famiglie una relazione genitori - bambini che non favorisce lo sviluppo dell'autonomia e può inibire lo sviluppo psicomotorio.
Ipotesi interpretative: i bambini “sopravvissuti”, se da una parte sperimentano difficoltà nei processi di individuazione - separazione nella prima e seconda infanzia (1 - 6 anni), dall'altra sono percepiti dai genitori come meno vulnerabili rispetto a bambini PMA ma non V.T.S. Il bambino nato da PMA è solitamente, nella mente dei genitori, soprattutto in quella della madre, un bambino "prezioso" e come tale anche "vulnerabile", in quanto nato da un progetto decisionale particolarmente complesso e connotato da ipersensibilità dolente. Questa rappresentazione cognitiva ed emotiva permea anche la relazione genitore - bambino sopravvissuto, ma sembra difensivamente negata, proprio perché si tratta di un bambino sopravvissuto a una morte traumatica, "criptata" in utero. Il bambino sopravvissuto si trova così ad essere un vulnerabile PMA e nello stesso tempo un "invincibile" V.T.S. Tale rappresentazione ambigua può non facilitare i processi di individuazione e quelli di apprendimento, perché imbriglia lo sviluppo infantile in un doppio messaggio (fragile - invincibile). Lo sviluppo emotivo e quello cognitivo necessitano che i "fantasmi nella nursery" (Fraiberg, 1999) abbiano negli adulti dei portavoce non ambigui. D'altra parte il genitore di un bambino da PMA e per di più "sopravvissuto" è stato sottoposto a traumi cumulativi a partire dal lutto della sua infertilità, lutto amplificato e acuito dalla morte diagnosticata, ma non "visibile" di uno dei suoi "bambini". E' opportuno che il percorso PMA sia accompagnato da un sostegno psicologico, a maggior ragione in questi casi di maggiori complessità, complessità che se a livello medico rientra nella prevedibilità, a livello simbolico rappresenta per i genitori, soprattutto per la madre, un "collasso" cognitivo ed emotivo, che può riverberare nella co-costruzione intersoggettiva genitore – bambino.

PROPOSTA DI INTERVENTO DI "SOSTEGNO" NELLA PMA

I codici simbolici che rappresentano la vita e la morte sono diversi in ogni periodo e in ogni cultura. La mancanza di strumenti simbolici non è una condizione esclusiva della PMA; la storia umana è un seguito di rivoluzioni epistemologiche. L'attività umana trasforma incessantemente la realtà, siamo perciò "condannati" a pensare mediante schemi concettuali che divengono incessantemente inadeguati. Siamo sempre in ritardo per pensare il nostro presente. Per questo motivo possiamo essere certi che le nuove generazioni sapranno trovare la griglia simbolica che attualmente manca. Per il momento possiamo operare in un'ottica interdisciplinare, utilizzando più conoscenze e competenze in modo integrato; per affrontare la complessità è utile condividere ricerche, riflessioni, domande; lo scopo del trattamento dell'infertilità in un'ottica interdisciplinare ristabilendo uno spazio per il "reale" (biotecnologie) e uno spazio per l'immaginario (vissuti, relazioni, fantasie). Lo spazio dell'immaginario non riguarda solo gli psicologi, anzi, attraversa, in modo più o meno conscio, tutta l'esperienza delle coppie infertili nelle varie fasi PMA e negli incontri con tutti gli operatori, soprattutto con i medici e con i biologi.
La legislazione, in questo senso, offre un'opportunità: le linee Guida della legge 40, pubblicate il 30 aprile 2008, riconoscono la necessità di supportare psicologicamente la coppia durante l'iter diagnostico e terapeutico e indicano che ogni centro per la PMA debba assicurare la presenza di un adeguato sostegno psicologico alla coppia, predisponendo la possibilità di una consulenza da parte di uno psicologo adeguatamente formato nel settore. Le difficoltà spesso rilevate nell'efficacia degli interventi derivano da carenza di personale psicologico specificamente preparato, dalla necessità di un maggior confronto tra esperienze diverse e istituzionalmente separate, ma soprattutto dalla necessità di una maggiore integrazione tra personale medico e personale psicologico. Nella maggior parte dei Centri, gli psicologi effettuano solo consulenze separate dal resto dell'attività clinica PMA, rischiando di confermare nei pazienti un'esperienza di scissione tra sofferenza fisica e psichica, tra corpo e mente.
La richiesta di consulenza e di supporto psicologico deve essere una libera scelta delle coppie ma l'opportunità deve essere accessibile in tutte le fasi dell'approccio diagnostico e terapeutico dell'infertilità ed, eventualmente, anche dopo che il processo di trattamento è stato completato, sia in caso di insuccesso che di gravidanza e nascita.
La complessità del percorso della PMA necessita di considerare il contesto emotivo e relazionale non solo della coppia che accede al percorso, ma anche degli operatori sanitari che l'accompagnano.
Sarebbe necessario quindi, anche per migliorare la comunicazione con le coppie, incontri periodici tra gli operatori medici, biologi, infermieri, psicologi per confrontarsi e condividere i risultati delle ricerche svolte, riflettere sul lavoro clinico e analizzare situazioni particolarmente problematiche.
L'obiettivo è “formare” un gruppo interprofessionale, individuando e valorizzando le competenze relazionali e psicologiche di ogni operatore nel lavoro clinico.
All'interno del gruppo la funzione degli psicologi dovrebbe porre molta attenzione al valore del linguaggio e della comunicazione e soprattutto al loro precursore: la capacità di ascolto.
Per questo motivo l'impegno clinico si suddivide in diversi ambiti esperenziali:
1. colloqui di sostegno psicologico individuali e/o di coppia,
2. condivisione e riflessione di casi clinici complessi in équipe,
3. incontri di gruppo interdisciplinari sulla gestione della comunicazione con il paziente PMA (spazi, tempi, modalità).

L'ascolto, apre alle coppie la possibilità di pensarsi come soggetti, di poter comunicare le proprie speranze, aspettative e delusioni.
Un aspetto importante è pertanto la diffusione tra gli operatori di una cultura interdisciplinare, integrata, della nascita e della genitorialità che evidenzi e tenga compresenti, ma non confusi, gli aspetti interni, emotivi, accanto a quelli fisici.
Crediamo che il nostro ruolo come tecnici della PMA, consista nel “sostenere” il desiderio di genitorialità, cercando di leggere in controluce i rischi fisici e psichici della PMA, ma allo stesso tempo riteniamo importante sollecitare una cultura della “complessità normale” della nascita e del concepimento e restituirla ai genitori perchè possano davvero sentirsi protagonista attivi del loro progetto di procreazione. Anche nella PMA i genitori e i loro bambini, non i tecnici o la tecnica, sono e devono essere i protagonisti dell’esperienza di genitorialità: “occorre rimettere il soggetto (bambino, madre, padre) nella propria storia” (10).

BIBLIOGRAFIA
4. Vegetti Finzi S., Volere un figlio. La nuova maternità tra natura e scienza, Mondadori, Milano, 1997.
5. Boivin J, A review of psychosocial intervention in infertility. Soc Sci Med, 57 (12): 2325-2341, 2003.
6. La Sala GB, Landini A, Fagandini P. Bambini e Genitori Speciali? Ricerca sulla crescita dei bambini nati da Procreazione Medicalmente Assistita. In: E. Riccardi, F. Monti (a cura di). Procreazione Medicalmente Assistita. Incontri di professionalità diverse tra i sintomi del corpo e i desideri della mente, Bologna, Grafiche M.M. 2003.
7. La Sala GB, Gallinelli A, Fagandini P et al. Development outcomes at one and two years of children conceived by intracytoplasmatic sperm injection. International Journal of Fertility and Women’s medicine 2004; 49 (3): pp. 113-119.
8. Agostini F, Monti F, Fagandini P, La Sala GB, Blickstein I. Depressive symptoms during late pregnancy and early parenthood following assisted reproductive technology. Fertil Steril. 2009 Mar, 91 (3) : 851-7
9. De Pascalis L, Monti F, Agostini F, Fagandini P, La Sala GB, Blickstein I. Psychological vulnerability of singleton children after the “vanishing” of a co-twin following assisted reproduction. Twin Research and Human Genetics, 2008; 11 (1): 93-8
10. La Sala GB, Nucera G, Gallinelli A, Nicoli A, Villani MT, Blickstein I. Spontaneous embryonic loss following in vitro fertilization: Incidence and effect on outcomes, American Journal of Obstetrics and Gynecology 2004; 191: 741-746
11. Fagandini P, Monti F, Agostini F, Fava R, La Sala GB. La complessità della genitorialità: esperienza materna e paterna tra sterilita’ e procreazione. In : GB La Sala ( a cura di) “ La “normale” complessità di venire al mondo”. Milano, Guerini, 2006.
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