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 Il federalismo della fecondazione

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Il federalismo della fecondazione Empty
MessaggioTitolo: Il federalismo della fecondazione   Il federalismo della fecondazione EmptyLun 04 Gen 2016, 11:44

Nel nostro Paese le coppie che per diventare genitori hanno bisogno di ricorrere alla fecondazione assistita devono fare i conti con regole e costi diversi da Regione a Regione. Accesso alle prestazioni e spese cambiano infatti da zona a zona, con un profondo divario fra il Sud e il resto d’Italia. La scarsità di centri pubblici o convenzionati - si vedano le grafiche) e le situazioni di deficit sanitario penalizzano soprattutto le coppie meridionali e si traducono in liste di attesa più lunghe, costi più alti e spostamenti obbligati verso le Regioni del Centro-Nord.

Dalla fotografia della situazione emerge un mosaico complesso caratterizzato, da una parte da una forte frammentazione regionale e, dall’altra, dalla progressiva demolizione della legge 40/2004, caduta, verdetto dopo verdetto, sotto i colpi della Corte Costituzionale.

La situazione territoriale

«La discrepanza fra Nord e Sud è notevole», dice Giulia Scaravelli, responsabile del Registro nazionale per la procreazione medicalmente assistita (Pma)dell’Istituto superiore di sanità. «Nel Lazio, in Sicilia, in Campania e in Calabria più dell’80% dei centri è costituito da strutture private non convenzionate, in cui i trattamenti vanno pagati integralmente».

Molte Regioni meridionali sono inoltre soggette a piani di rientro dai deficit sanitari. Una condizione che danneggia in particolar modo le coppie interessate alla fecondazione assistita perché le prestazioni di Pma (procreazione medicalmente assistita, sia omologa che eterologa) ancora non rientrano nei Livelli essenziali di assistenza nazionali (Lea). Si tratta, cioè, di prestazioni aggiuntive che le Autonomie con un piano di rientro non possono finanziare. «Non possiamo aggiungere voci non presenti nei Lea nazionali - spiega Elena Memeo, funzionario della Regione Puglia che si occupa dell’assistenza ospedaliera - e quindi tutti i trattamenti sono a carico degli utenti, anche quelle effettuate nei centri pubblici».

La Puglia è stata anche la prima Regione a decidere di non rimborsare più le prestazioni effettuate in altre Regioni. Una scelta via via seguita anche da altre autonomie meridionali. Oltre ai costi dei trasferimenti le coppie devono quindi farsi carico anche delle spese dei trattamenti. «Essendo a pagamento in Regione - continua Memeo - non era più possibile rimborsare prestazioni fatte altrove».

«È in atto una macroscopica lesione del diritto di uguaglianza rispetto alla stessa prestazione sanitaria, con grave penalizzazione tra Nord e Sud e tra Regione e Regione», accusa Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Anche nel Lazio, Regione non meridionale ma pure in piano di rientro, la situazione è complicata. Un provvedimento in fase di predisposizione dovrebbe prevedere una parziale compartecipazione pubblica alle spese, così come ai rimborsi. Nel frattempo, però, la situazione è alquanto confusa, visto che i pochi centri pubblici autorizzati si regolano in maniera differente e con tariffe diverse.
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